Obsolescenza programmata: esiste davvero? E quale potrebbe essere l’impatto del 5G su di essa?
Il 5G, oltre a rivoluzionare la quotidianità delle persone e le interazioni con gli oggetti che le circondano, potrebbe incidere in modo molto significativo sul tanto discusso tema dell’obsolescenza programmata.
La stragrande maggioranza degli smartphone e dei cellulari attualmente disponibili non integrano infatti questa nuova tecnologia, ciò significa che nascerà la necessità di acquistarne di nuovi capaci di supportarla.
Ma cos’è l’obsolescenza programmata? Esiste davvero? Secondo molti si tratterebbe di uno dei fenomeni sui quali si fonda il consumismo; essa sarebbe insita nel sistema industriale stesso e invoglierebbe le masse all’acquisto continuo di nuovi prodotti, causando quindi un esborso economico che si tradurrebbe in preziosi guadagni per le aziende produttrici.
L’obsolescenza pianificata o programmata è definita come una scaltra strategia, applicata nell’ambito del contesto economico industriale, atta a stabilire preventivamente il ciclo vitale di un dato prodotto limitandone la durata ad un periodo programmato, cosi da renderlo praticamente inutilizzabile o difficilmente usufruibile dopo un certo periodo di tempo, e quindi obsoleto per il consumatore che sarà orientato ad acquistare il modello successivo.
Spesso grazie all’immissione di nuove funzionalità o tecnologia le masse traggono benefici dall’obsolescenza pianificata, ma per molti è palesemente più ampio il numero di volte in cui questa strategia comporta giovamenti soltanto per i produttori.
In questo senso, le metodiche tradizionalmente più utilizzate hanno a che fare con l’uso di sistemi elettronici creati ad hoc, di materiali meno ricercati o di componenti che si logorano più facilmente rispetto ad altri. Lo scopo è quello di realizzare prodotti che necessitano di essere sostituiti o riparati subito dopo la cessazione del periodo di garanzia, ma spesso la riparazione prevede dei costi addirittura superiori al prezzo di acquisto del modello successivo, tanto da spingere il consumatore a praticare questa seconda strada e sostituire il vecchio dispositivo con uno nuovo.
I media appoggiano spesso tale fenomeno; vengono infatti lanciate continuamente nuove e rivoluzionarie campagne pubblicitarie atte all’esaltazione dei modelli più recenti che talvolta possono vantare migliorie marginali che non interessano all’utilizzatore, a fronte di un’estetica tanto diversa quanto basta per fare leva sulla psicologia dei consumatori.
Nella puntata di “Petrolio” sulla new age del 5G, andata in onda su Rai 1 il 23 Febbraio 2019 e presentata da Duilio Giammaria, è stato trattato anche il tema dell’obsolescenza programmata.
Nello specifico, attraverso un servizio di qualche minuto, è stata evidenziata la possibile reale natura di questo atteggiamento di convincimento a comprare nuovi modelli adottato dai produttori per non perdere quote di mercato.
In merito alla questione è intervenuto anche l’ingegnere Gian Piero Celata, ex direttore del dipartimento tecnologie energetiche Enea e attuale Presidente SIET e Presidente Cluster Tecnologico Nazionale Energia che, durante il suo intervento, ha menzionato l’accordo risalente agli inizi del 900 tra le più grandi compagnie produttrici di lampadine, per la realizzazione di prodotti che durassero fino ad un massimo di 1000 ore, a differenza delle lampadine prodotte fino ad allora, capaci di coprire le 3000 e 4000 ore.
Per quanto riguarda gli smartphone ed i tablet, c’è chi pensa che l’obsolescenza venga costantemente indotta per mezzo dell’aggiornamento del sistema, che promette prestazioni più elevate ma che in realtà comporta un rallentamento del device e alle volte anche un consumo di batteria più veloce.
In merito a tale tematica è intervenuto Simone Scanavini, un consulente informatico che nel corso del servizio lanciato dalla trasmissione, ha dimostrato la reale esistenza del problema effettuando un test su uno smartphone prima e dopo l’aggiornamento del sistema per individuare le eventuali differenze di prestazioni. Per fare ciò si è avvalso di un apposito programma capace di verificare i vari elementi del telefono (come la memoria, la capacità di elaborare le immagini ecc) e di fornire un output numerico confrontabile con quello successivo all’aggiornamento.
Nell’esperimento realizzato in quel caso è stato effettivamente registrato un calo di prestazioni del 30%.
Nell’ottobre 2018, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) è entrata a gamba tesa sull’obsolescenza programmata, multando le due aziende Apple e Samsung rispettivamente di 10 e 5 milioni di euro per aver rilasciato alcuni aggiornamenti del firmware dei propri smartphone che hanno causato gravi disfunzioni e ridotto significativamente le prestazioni, cosi da accelerare il processo di sostituzione degli stessi. Una pratica commerciale che viola gli articoli 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo.
Quindi che sia reale o immaginaria, qualcuno ha già pagato per l’obsolescenza, ma la domanda è: bastano le sanzioni per sradicare dalla cultura consumistica tale ipotetica pratica commerciale? Probabilmente no, e con l’arrivo del 5G la corsa delle aziende per intercettare la rivoluzione tecnologica potrebbe spingere i consumatori a un più elevato tasso di sostituzione dei propri dispositivi.
Per rimanere sempre aggiornati sui nuovi post di TelefoniaTech è possibile unirsi gratis ai canali ufficiali di Telegram e Whatsapp.
Se questo post vi è piaciuto, condividetelo sui vostri social e seguite TelefoniaTech anche su Google News, Facebook, X e Instagram.
Questo post può contenere link di affiliazione, attraverso i quali ogni acquisto o ordine effettuato permette a questo sito di guadagnare una commissione. In qualità di affiliati Amazon e di altri store terzi, otteniamo una commissione sugli acquisti idonei, senza alcun costo aggiuntivo per l'utente.